GUIDO OLIVERO - "Di nome faccio Natale, perché sono nato il giorno di Natale. Mia madre e mio padre senza grande fantasia mi hanno messo il nome del giorno in cui sono nato. Erano le 16,30 di quel giorno quando nella stalla mani esperte della levatrice hanno aiutato mia madre a farmi uscire da un posto caldo e sicuro. Operazione non facile, mi disse poi mio padre, perchè ero già grosso e pesante come un capretto.
Oggi ho sei anni ed ho iniziato ad andare a scuola. Da casa mia la scuola dista mezz'ora di cammino in mezzo ai boschi di castagno. In pratica tutti i giorni cammino un'ora tra andare e tornare per imparare a parlare un'altra lingua, per tutti noi forestiera, e saper fare un po' di conto. Secondo mio padre imparare un'altra lingua per il mio futuro in campagna può anche non servire, perché tanto in casa e fuori casa si parla solo il dialet, ma saper contare lui, mi dice sempre, che è importante perché se non sai farti i conti la gent, quasi tutta, te ciula.
In inverno andare a scuola diventa ancora più scomodo che in autunno e primavera. A parte il freddo intenso che ti fa congelare le mani e i piedi, c'è sempre tanta neve e anche se Luigi, mio padre, mi batte sempre la pista, è sempre dura camminare mezz'ora sulla neve che quando è ghiacciata se non stai attento rischi di cadere facilmente per terra e ti fai male. Peggio ancora quando scongela, perché allora sprofondi fino al ginocchio e arrivi a scuola e poi a casa con i piedi e le calze bagnate. Essendo le calze di lana, che fa mia nonna, spesse, queste non asciugano più e stai tutta la mattina con i piedi bagnati.
Quest'anno è il mio primo anno di scuola e mai come quest'anno aspetto le vacanze di Natale per non fare più tutti i giorni avanti e indietro sulla pista innevata. Anche prima il Natale l'ho sempre aspettato con gioia perché, come mi han detto i miei, passa il bambin Gesù e se mi son comportato bene nell'anno mi lascia qualche regalino. Da quando mi ricordo, cioè da qualche anno, i regalini me li ha sempre fatti. Qualche caramella e qualche pasta dolce che negli altri giorni dell'anno non si vede l'ombra o la carta delle caramelle oramai mangiate che io tengo per ricordo nel mio cassetto del tirur dei miei che hanno nella loro stanza per dormire.
Quest'anno ho confessato a mio padre che mi piacerebbe avere come regalo a Natale una ponsa/sotula - trottola - per poterci giocare ogni tanto. Mio padre mi ha guardato in modo strano e poi mi ha detto di scrivere una lettera al bambin Gesù visto che avevo imparato a scrivere e di dargliela che lui l'avrebbe spedita. Ma io gli chiesi in che via e che città abitava e lui, senza quasi lasciarmi finire la domanda, mi disse di scrivere sulla busta solamente al Bambin Gesù che lui l'avrebbe ricevuta di certo perchè tutti i postini del mondo sapevano loro dove lasciarla perché di bambin Gesù ce n'era solo uno su tutta la terra. Così feci e iniziai la conta dei giorni, cioè quanti giorni mancavano al Natale. A scuola in quel periodo andavo più volentieri ed anche i miei compagni e compagne erano tutti più contenti, persino l'anziana maestra era felice. Tutti aspettavano il Natale e non vedevano l'ora che arrivasse.
Il giorno che andai in vacanza fu già un bel giorno, ma il più bel giorno per me fu quando mi svegliai la mattina della mia doppia festa. Di fianco al cuscino vicino a quello di mio fratello c'era un sacchettino con dentro qualche caramella, ma la sorpresa più grande fu la ponsa/sotula di legno chiaro ben levigato. Urlai di gioia e passai tutto il pomeriggio, dopo il pranzo di Natale a base di polenta e latte, a giocarci con mio fratello di due anni più grande e le mie tre sorelline più piccole. Sul tavolo della cucina sembrava una ballerina e girava, girava fin che la stanchezza la prendeva e si coricava di lato. E noi di nuovo a farla danzare, danzare ed ammirarla sorpresi da tanta bellezza e rotondità e poi a sorridere come dei matti.
Buon Natale a tutto il mondo".
Guido Olivero
(Foto d'Archivio)